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DIMENTICHIAMOCI GOETHE: IL WERTHER-BURATTINO DI PATRIZIO DALL’ARGINE

 

È possibile trasporre la tragedia al vuoto dei nostri giorni?

Si può attualizzare la morte svuotandola di ogni significato e riempiendola di un vuoto inedito?

 

Questi sono solo alcuni interrogativi che possono emergere dopo avere assistito allo spettacolo ideato da Patrizio Dall’Argine e inscenato dai suoi magnifici burattini, per un progetto realizzato con la coproduzione di Teatro Medico Ipnotico e del Teatro Caverna.

“Werther”: il titolo ci riporta al romanzo epistolare di Goethe e alla sua idea di assoluto che tanto ha influenzato l’Ortis foscoliano. Ci riporta all’idea di un orizzonte idealista e a quel tragico che non può lasciare spazio ad altro. E, dunque, i burattini – usualmente associati al riso dell’infanzia e alla non selettiva comicità– qui si armano di morte, di pianto, di tragica predestinazione. Ma non è tutto. Dall’Argine (a cui Teatro Due dedica un’intera rassegna, di cui questo è solo il primo spettacolo) compie qui un doppio e non scontato stravolgimento: dopo avere trasferito la vicenda sui propri burattini (sebbene qualche breve scena sia riservata a interpreti in carne e ossa) in seconda battuta decide di ambientare il tutto al giorno d’oggi.

Il suicidio di Werther è inscenato per strada, in mezzo a narcotrafficanti e a prostitute: Lotte/Carlotta è sfruttata da Alberto, che la costringe a vendere il corpo al migliore offerente. Si apre il piccolo sipario dei burattini su un quartiere dimenticato da tutti, in cui l’unico caldo conforto è rappresentato da un piccolo bar all’angolo, in cui bere un amaro prima del prossimo turno di lavoro.

Un’ideazione che è frutto di un’esperienza duratura e di un cesellamento evidente: nel Werther di Dall’Argine ritroviamo le forme e la solitudine di Hopper (quel caffè dai pochi avventori ricorda davvero da vicino “Nighthawks” del pittore americano), la predestinazione di chi abbraccia una strada che non lascia speranza, ma anche un ideale di assoluta purezza insito nel protagonista, che ama senza prendere, ammira senza possedere. Ma in questo profondo realismo che non lascia vie di fuga, c’è spazio anche per burattini al limite del reale, quali tacchini che aprono sipari e simboli di incubi e di metamorfosi che anticipano pensieri di amore e morte.

Uno spettacolo che apprezzerà chi entrerà senza pregiudizio o senza pretese: Dall’Argine e i suoi burattini ci chiedono di lasciarci riempire da quell’atmosfera di vuoto quotidiano e assoluto al contempo. Ci chiedono di osservare senza sentenziare, senza tessere paragoni con il modello goethiano che è dimenticato ma – quasi fosse un’invisibile corrente carsica– è pronto ad affiorare quando noi non ce lo aspettiamo più. Un Werther che è più nostro, che gioca con visibile e invisibile, il cui assoluto si insinua in un intrico costituito da angoscia, malessere. Incomunicabilità.

Un Werther che – nonostante tutto, attraverso tutto e per possedere tutto– ama.

 

Clizia Riva Concretamente Sassuolo 20 dicembre 2016

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